La mia recensione da 2 cent sullo spettacolo teatrale Turandot di Marco Plini messo in scena dall’Opera di Pechino, drammaturgia Wu Jiang e Wu Yuejia visto l’11 gennaio nella stagione del Teatro Stabile di Bolzano.
Da dove partire?
I fatti sono così: ho visto uno spettacolo in lingua cinese sovratitolato in italiano che narra la storia di una Turandot che non è ciò che ci si aspetta pensando all’omonima opera di Giacomo Puccini…una “cinesata” dunque?
Assolutamente no! Innanzitutto spendo due parole riguardo lo stereotipo dei cinesi. Dire cinese ci fa pensare ai bar ormai dominio loro, ci fa pensare ad quel mare di oggetti a basso costo che definiamo “cinesate” anche se fatti altrove, ci fa pensare alla mafia cinese, ma ci fa anche pensare ad popolo ricchissimo come cultura, ad una lunga tradizione culturale folkloristica, ai fasti del capodanno cinese, ecc. ecc.
Insomma una lunga serie di concetti stereotipati e molto contrastanti tra loro. Un po’ come per noi italiani. Grandi artisti ma anche buffi personaggi. Non di molti popoli al mondo si può elencare una serie di aspetti così diversi tra loro. E questo è sicuramente un fatto positivo. E’ bello essere stupiti e meravigliati.
Ma torniamo alla Turandot. Avete presente quando guardate un film Disney tratto da una fiaba classica e poi magari leggete il libro. Tutta un’altra storia.
Per capire questa Turandot bisogna far infatti partire dalle origini.
Tūrāndokht è una principessa di Turan nell’Asia centrale a nord dell’Iran. Nasce dalla penna del poeta Nizami ed è la quarta protagonista del poemetto Le sette principesse. Siamo nel medioevo e da qui la fiaba giunge in Europa nel Settecento. Carlo Gozzi la trasforma nella principessa cinese Turandot e finisce poi nelle mani di Giacomo Puccini che la immortala con la sua opera divenuta ormai sinonimo della fiaba stessa.
Detto questo dimentichiamo Puccini, dimentichiamo tutto ciò che neppure Wikipedia riporta sulla Turandot, dimentichiamo Pavarotti e la sua Nessun Dorma, dimentichiamo tutto ciò che pensiamo di conoscere dei cinesi e facciamo tabula rasa.
La prima cosa che colpisce è il contrasto tra la scenografia, minimale ed essenziale e gli splendidi costumi colorati dei protagonisti.
I loro movimenti secchi ma ordinati, quasi robotici, innaturali apre le porte all’affascinante tradizione del teatro cinese, uno dei più antichi del mondo. A noi appare strano ma ha il suo indiscusso fascino. Meno fascino suscitano le squillanti voci dei protagonisti non proprio musicali.
Ma i movimenti, i costumi, i colori lasciano senza parole e trasportano in una atmosfera dal sapore orientale senza sconti.
Ed è bella così questa Turandot, da godersi come una cosa nuova, una fiaba antica eppure così attuale come sono le fiabe appunto…e io di fiabe me ne intendo. ;-)