Bidibidobidiboo di Francesco Alberici è un’opera teatrale complessa e proprio per questo unica ed affascinante. Il titolo non richiama direttamente la Cenerentola disneyana ma l’omonima opera di Cattelan che ben rappresenta il disincanto e la morte dei sogni. Sogni, già perché è di questi che si parla ma ci si arriva con calma.
L’opera di Cattelan
[Attenzione contiene spoiler]
L’inizio è complesso, traditore direi. La narrazione di partenza è intrigante. Due personaggi in una scena fatta di cartoni che raccontano di cosa narreranno coadiuvati dalla lettura di un libretto che contiene mail di scambio tra i due fratelli, personaggi principali dell’opera. Il tutto fa molto denuncia sindacale basata su fatti reali, ma è proprio così? In realtà il vero protagonista dell’opera è nascosto dietro uno dei grandi cartoni ma lo si capirà solo alla fine.
La rappresentazione procede snella con diversi ingegnosi colpi scenografici, i cartoni che nascondono personaggi, l’uso dei doppi microfoni, l’arredamento identico all’opera di Cattelan, l’esplosione improvvisa. Piano piano però la storia cambia binario, quella che sembrava una denuncia verso le condizioni di lavoro in una fantomatica azienda (innominata quanto inesistente anche se potrebbe essere una qualunque multinazionale) si trasforma in una più drammatica rappresentazione del difficile rapporto tra due fratelli e della loro madre chioccia. Per un tempo che pare non finire più il fratello maggiore rimprovera al minore di non avergli mai parlato dei suoi problemi. L’unico personaggio femminile rappresenta lo spirito materno, prima nei panni della manager poi in quello della “vera” madre.
Ad un certo punto però la narrazione si interrompe per prendere un ulteriore binario, quello finale. Il “vero” “finto” fratello, quello mobbizzato sul lavoro, quello che ha acconsentito che il fratello più grande facesse un pezzo teatrale sulla sua vicenda, cambia idea. Ritira il consenso e il protagonista a questo punto si trova a dover essere a sua volta in una situazione che lo porterà a dover rendere conto del suo lavoro incompiuto. Ognuno a suo modo nel lavoro è tenuto in pugno da qualcun’altra.
Ma non finisce qui perché tra i tanti, forse troppi, messaggi che l’autore vuole comunicare l’epilogo è quello più scontato e tradizionale: seguire i propri sogni. Così il pianoforte, prima nascosto dietro al cartone più grande, torna ad essere il vero protagonista. Il fratello più piccolo ama suonare il pianoforte, ma, alla ricerca del posto fisso, della sicurezza economica, ha lasciato gli studi al conservatorio per entrare nel crudele mondo del lavoro dove contano i risultati e non le passioni. Alla fine però dal pubblico si alza il terzo “vero” “finto” fratello che suona dal vivo il pianoforte concludendo l’opera.
Ci sono molti elementi in questa opera, molta carne al fuoco, sembra mancare però un legame omogeneo o meglio un legante. Nonostante questo è un’opera bella ed innovativa, dove la voglia di stupire, ingannare, fuorviare lo spettatore è quasi più interessante del messaggio stesso. In questa stagione mi sto scoprendo amante del teatro contemporaneo più che di quello classico.