Il Mercante di Venezia è un’opera del 1600 di William Shakespeare. In scena nella stagione del Teatro Stabile di Bolzano per la regia di Paolo Valerio.
Shakespeare è Shakespeare e su questo non c’è molto da dire. Un’opera di oltre 400 anni che fa riflettere su quanto alcune cose siano veramente poco cambiate. Credo che i comportamenti umani abbiano tempi di evoluzione molto più lunghi di quelli legati alla scienza e alla tecnologia. Sono tempi più darwiniani. Il Mercante di Venezia fa riflettere su molti aspetti che si ritrovano nella quotidianità ordierna.
Le due ore di spettacolo (+ pausa) scorrono molto velocemente, grazie ad una regia e una sceneggiatura agili e scattanti.
Il vero protagonista è Shylock interpretato da un intenso e classico Franco Branciaroli che si pone a leghe di distanza da tutti gli altri interpreti. Un attore che sa di essere bravo, lo dimostra e lo sottolinea pure. Si capisce che ha il teatro dentro e considerata la carriera si può tranquillamente dire che il teatro è lui. Il gap prestazionale si nota e si sente, un vero maestro.
La figura di Shylock è chiaramente dominante ed è quella che dalle sue battute fa più riflettere. A tratti suscita empatia a tratti repelle. Ma credo che questo dualismo sia implicito nell’opera di Shakespeare.
Bellissima la scenografia con un uso veramente creativo delle luci. Da fotografo amo tantissimo quando vedo opere come questa in cui ogni scena è accuratamente fatta vibrare da un attento posizionamento dell’illuminazione. Ogni scena è come un dipinto.
Nota dolente invece per l’audio. Spesso mi chiedo come mai a teatro venga usato poco l’impianto di amplificazione. Ecco, adesso lo ho capito. In questa opera ogni attore ha il suo microfono e sì si sente molto bene ma purtroppo viene a mancare completamente l’effetto spaziale della voce. L’audio proviene sempre dalla stessa parte, tra il resto un po’ troppo sbilanciato sulla parte sinistra. A momenti, quando parlavano in tanti, non si capiva chi diceva cosa proprio perché mancava la direzionalità. Senza amplificazione si percepisce infatti la provenienza del suono e questo da più realismo teatrale. Con l’amplificazione si ha un effetto quasi televisivo e il teatro perde un po’ di forza realistica. Ovviamente questo è un mero dettaglio che poco toglie al valore della rappresentazione, solo una considerazione personale.