Nel tempo degli dèi – Il calzolaio di Ulisse è un’opera di Marco Paolini e Francesco Nicolini per la regina di Gabriele Vacis.
Marco Paolini è Ulisse, ma che Ulisse.
La prima riflessione che ho fatto dopo aver visto lo spettacolo teatrale di Paolini è sostanzialmente una: perché ancora nel 2019 l’Odissea è capace di attirare l’attenzione di molti autori in molte arti. Di opere tratte all’Odissea se ne contano tantissime. Parliamo di un’opera scritta in un tempo remoto non ben definito (VI secolo a.c. o giù di lì) da un autore, Omero, che non siamo neanche sicuri sia esistito. Narra di figure mitiche, cioè non esistenti e di dèi, altrettanto inesistenti.
Detta così…
Ma in fondo dovremmo essere abituati a considerare vere vicende ed eventi basati su scritti antichi. Quando manca il fondamento scientifico interviene la fede e tendenzialmente ci facciamo andar bene tutto…ed il contrario di tutto.
Perché, diciamolo, gli dèi ci piacciono, ci piace pensare che qualcuno sia al di sopra di ciò che non siamo (ancora) in grado di comprendere. Ne abbiamo bisogno per dare un a risposta ai molti perché.
Appunto, ma chi sono gli dèi se non una risposta all’ignoto e soprattutto dèi sono coloro che agli occhi di altri appaiono grandi, maestosi, potenti. Abbiamo tutti degli dèi a prescindere dal nostro credo religioso.
C’è il dio denaro, il dio tecnologico, il dio politico, il dio marketing, il dio social, ecc., siamo pieni di dèi moderni e dei loro feticci e non ce ne rendiamo conto.
Veneriamo così tanti dèì moderni che in confronto pure la religione non riesce a tenere il passo. Ma la cosa più assurda è che siamo noi stessi degli dèi. In senso più ampio ovviamente, in senso sociale. Noi siamo il mondo occidentale, siamo il mito da raggiungere a costo della vita.
Non a caso, nello spettacolo, i cadaveri sono rappresentati da coperte isotermiche come quelle che vengono usate per coprire i naufraghi.
Ed è qui che Paolini tenta di fondere temi politici, temi sociali d’attualità con l’opera classica di Omero.
Lo fa mediante un Ulisse calzolaio, auto esiliato per espiare le sue (nostre) colpe alla ricerca di un Olimpo che forse non è più così allettante come sembra nonostante sia diventato lo “chalet” Olimpo come un resort 5 stelle S dolomitico.
C’è tanta roba in questo spettacolo, a mio giudizio troppa. Ho faticato molto a mettere insieme i vari pezzi del puzzle che viene raccontato in due ore serrate di spettacolo. Alla fine i pezzi non combaciano perfettamente. Forse un taglio meno storico e più politico avrebbe dato un senso più pieno all’opera. Alla fine il messaggio è quello. A volte però per non scontentare nessuno si scelgono compromessi, ma avrei preferito di no…de gustibus.
Ho adorato la scenografia minimale ma ricca, i giochi di luce semplici ma ricchi di sfumature. Inutile dirlo, bravissimi gli attori. Affascinanti i virtuosismi vocali di Saba Anglana, ma questi così come alcune battute di “riempimento” non aggiungono nulla di particolare se non distrazione.